22.03.2019 – Fraternità e sororità

La comunità di sorelle riunite nel nome del Signore è una realtà che vive nello Spirito e si alimenta nella fede. Ogni giorno se ne fa esperienza quando si percepisce che c’è “qualcosa” di superiore a noi che ci spinge in avanti, fondando e rendendo stabile la nostra gioia e la nostra speranza.

L’essere sorelle in una vita comune è un dono ricevuto, sigillato nella professione religiosa, un dono che ci trascende e, al tempo stesso, un compito, cioè una realtà che deve compiersi nella fatica quotidiana con l’apporto di ciascuna.

La Parola del Signore, al centro del nostro vivere insieme, è un invito continuo ad uscire da noi stesse, ad aprirci all’altra che vive accanto, scoprendone la singolarità e quindi la ricchezza nella composizione del “cor unum”.

La Parola ruminata nel silenzio è l’humus da cui può fiorire il miracolo: spogliarsi del proprio Io egocentrico per “vedere” il cuore dell’altra, per sentire la sua sofferenza, per incoraggiare il suo cammino. Come ha fatto il Signore Gesù nelle sue relazioni!

Ciò è tanto fondamentale quanto impegnativo per costruire davvero la fraternità.

Alle volte – per grazia – ci si accorge che sugli occhi c’è ancora un velo perché dopo lunghi anni di vita insieme, ci si sorprende a non conoscersi come Lui conosce. Appunto è una grazia poiché si può sempre ricominciare cercando di costruire la relazione in quello spazio tra l’Io e il Tu che è abitato dallo Spirito.

Noi donne poi, dobbiamo costantemente accogliere la sfida a discernere l’essenziale dal relativo, per non trasformare in montagne piccoli sassolini, facendoci così “rubare la gioia” per dei nonnulla.

La lenta edificazione della vita comune matura con la maturazione umano-spirituale di ogni suo membro, col dilatarsi della capacità oblativa, vissuta nello stile delle beatitudini evangeliche.

Del resto per crescere nella consapevolezza che l’unità si fa componendo le diversità e armonizzando le differenze di compiti e qualità, occorre sperimentare concretamente negli eventi ordinari di cui è tessuto il quotidiano i principi guida.

Ad esempio: quella certa sorella mi provoca per come concepisce e vive la povertà, quasi a sembrare una distorsione del valore stesso di povertà. Eppure, provo a scorgerne un nucleo di autenticità che la motiva e che per me diviene richiamo ad un vivere sobrio e attento all’uso delle cose.

Sostiene p. Giovanni Vannucci che “il rapporto fraterno è fondato sul più grande rispetto e la più saggia tolleranza di quanto negli altri esiste di autentico e di sincero”.

Ciò è vero e al contempo , quanto mai delicato! Sì, perché potrebbe essere a favore di una sorta di individualismo, di un “vivi e lascia vivere”….

Crediamo allora, che non a caso il termine tolleranza sia preceduto dall’aggettivo saggia.

Una verifica della bontà di tale orientamento, potrebbe situarsi nella domanda costante: “Di lei che è mia sorella, mi importa?”. Chiederselo sinceramente fino a toccare, comprendendola, la profondità del comandamento nuovo che il Signore Gesù ci ha lasciato: “Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato”. E soltanto l’Amore che è creativo, l’Amore che è Spirito di novità e di libertà, sa trovare i modi per edificare – come recita l’incipit della regola di Agostino – il cuor solo e anima sola in Dio.

I modi sono talora il dialogo, affrontandone tutta la fatica, talora il silenzio in un’attesa che sa pazientare, talora la dolcezza usata con forza o la forza mitigata nella dolcezza. Modi che ora si elargiscono, ora si ricevono, in una continua circolarità, infatti alla base, mai deve cessare la consapevolezza del senso di uguaglianza, di rispetto fino allo stupore, di ricerca delle ragioni profonde che muovono l’altra.

Fraternità o sororità vissuta in comunità è la “buona notizia” che possiamo offrire al nostro mondo.

Ci esorta papa Francesco nell’ultimo documento destinato alle contemplative: “Le vostre comunità siano segni credibili che queste differenze [generazionali, formative, culturali…] lungi dal costituire un impedimento alla vita fraterna, la arricchiscono. Ricordatevi che unità e comunione non significano uniformità, e che si nutrono di dialogo, condivisione, aiuto reciproco e profonda umanità , specialmente nei confronti dei membri più fragili e bisognosi” (Vultum Dei quaerere, 26).

Noi crediamo tutto questo, vi intravediamo il futuro, mentre cogliamo il sogno che sta alle origini dell’Ordine dei Sette Padri, tra loro fratelli e amici.

Avvertiamo le resistenze in noi e intorno a noi, la fatica del “vino nuovo in otri nuovi”, ma più forte, davvero più forte è la fiducia nello Spirito del Signore risorto che fa nuove tutte le cose.

 

Nostro contributo per il bollettino “Fraternità” dell’Eremo delle Stinche (gennaio – giugno 2018)